2. Una questione di spazi

2. Capitolo; Sardignità: Una questione di spazi.

2.1. Località senza frontiere.
2.2. La cultura sarda, una cultura inclusiva.
2.3. Isolani non isolati.
2.3.1. Regioni artificiali.
2.3.2. Spazio di partenza per la cultura della differenza.




2.1. Località senza frontiere.

La popolazione che ha intessuto quella che genericamente viene denominata come cultura Sarda non è, come ancora troppo frequentemente si tende a considerare, il frutto di un’unica e radicata etnia, ma il risultato di una stratificazione culturale di cui si perdono le radici nella storia Mediterranea e che ancora oggi non ha smesso di essere contaminata dall’esterno.
La storia dell’uomo in quanto animale migratore, depositario, artefice e divulgatore di un fardello culturale, trova uno dei suoi esempi più complessi e intrecciati nella storia dell’isola-ponte tra continente Eurasiatico e continente Africano.
Una storia fatta di mille storie, mille quante le culture che hanno attraversato questa terra e in essa hanno saputo innestarsi e ramificarsi. Oriente e Occidente, Nord e Sud del mondo, che oggigiorno sono sempre più chiamati in causa dalla politica come avversari e antagonisti, si trovano miscelati nella cultura sarda come stimabile esempio di un melting-pot radicato, un patrimonio che riporta alla luce la non novità dei contesti multiculturali (anche se a livelli spaziali sicuramente più limitati di quelli odierni) e la necessità della fortificazione delle basi culturali e dei rapporti di comunicazione e scambio trasnazionali e interdipendenti, affinché i rapporti tra i popoli e quello tra globale e locale diventi sempre più un pretesto d’incontro piuttosto che di contrapposizione.


2.2. La cultura sarda, una cultura inclusiva.

Guardando il mondo del passato con gli occhi contemporanei, si tende a vedere ogni immigrazione come una colonizzazione, ogni cambiamento culturale come un’imposizione dall’alto, senza neanche cercare di intravedere tra i rapporti umani passati, quello di comunicazione della differenza, che invece tanto aveva peso in passato, soprattutto prima che le comunità umane avessero il concetto attuale di frontiera -e divenissero potenziali Regni, Imperi e Stati oligarchici o gerarchici- e che tanto può valere oggi dal momento che le nuove tecnologie riportano la comunicazione -potenzialmente[1]- alla portata di tutti, senza frontiere, se non linguistiche o ancora una volta economiche, di incompetenza, ignoranza o di censura dall’alto.
Limitatezza diffusa negli studi sulle pratiche umane è quella di considerare una Cultura solo nel contesto che essa occupa nella contemporaneità, senza riflettere abbastanza sul ruolo della migrazione e dello scambio e l’interazione in tutta la storia umana.
La mancanza di sensibilità e di consapevolezza verso le culture non dominanti, porta ancora oggi ad ignorare la cultura sviluppata dal basso, la così detta “storia dei vinti”, permettendo di parlare di concetti quali “civilizzazione”, “popoli primitivi” o più in particolare eventi quali “la scoperta dell’America”, “l’Unificazione Italiana”, senza nemmeno un minimo accenno all’astrazione dalla realtà che queste idee implicano e implicavano.
A tal proposito è d’obbligo la precisazione che, raggruppando le stratificazioni culturali presenti nelle isole della Sardegna nel termine Cultura Sarda, si applica una convenzione per cui ad una cultura polifonica (con importanti differenziazioni interne e apporti esterni) ci si riferisce come un’unica cultura, in rapporto esclusivamente al suo stanziamento geografico e per via delle più marcate differenze presenti nei territori vicini.
In riferimento al passato è difficile raggruppare o scindere ciò che è da considerare sardo da ciò che non lo è. Le stratificazioni con l’esterno e le differenze interne sono talmente complesse che la tendenza è quella di usare il plurale e parlare così non di cultura sarda ma di culture sarde, non di lingua sarda ma di lingue Campidanesi, Logudoresi, Galluresi, Barbaricine, de Mesanìa, eccetera.
Quello che si fa attraverso la resa al singolare di queste polifonie, è la formazione di un “concetto aperto”[2], formato da membri legati tra loro da “somiglianze di famiglia”[3] e non dalla condivisione di una nota caratteristica che permetta –in questo caso- di determinare in modo definitivo la classe delle produzioni culturali che ricadono sotto la nozione di “cultura sarda”.
Così, nonostante le difficoltà nell’identificare le basi etniche, linguistiche e sociali della cultura che si è sviluppata e continua ad evolversi in Sardegna[4], è giustamente riconosciuto che essa assuma caratteri di peculiare specificità degni di essere riconosciuti come autoctoni e originali e tutelati come parte integrante del quadro delle differenze culturali umane.
Guardando il mondo da questa prospettiva, è più facile capire che la Cultura Sarda non è assolutamente una cultura isolata e primitiva ma il frutto di un evoluzione culturale senza sosta e senza frontiere; così, per quanto essa sia portatrice di forti componenti conservative, esse sono dovute più che all’isolamento geografico o alla chiusura culturale –spesso portati erroneamente come prime cause-, ai metodi principalmente orali di trasmissione e comunicazione delle nozioni e delle informazioni perpetrati assiduamente fino a tempi recenti, anche a causa delle pratiche nomadi che interessavano soprattutto la vita delle comunità pastorali.
Secondo questi principi, la Sardignità non si pone come valore di localismi etnicisti ed esclusivi, non di rado segnati da un marchio xenofobo, ma come etica di un movimento culturale già in atto, che pretende solo responsabilizzare i propri componenti su se stessi e sul mondo, includendosi in esso come alterità senza escludere il diverso come inferiore.
Nonostante la potenza della “cultura consumistica”, che occupa grandi spazi nei media di comunicazione attuali di tutto il mondo, stia costruendo concretamente una nuova “cultura popolare mondiale”, è ormai evidente come essa sia spesso priva di valori sostenibili e sia di fatto trasmessa in maniera così semplificata e confusa che non può essere considerata come sostitutiva delle varie culture popolari locali.

2.3. Isolani non isolati.

La definizione dell'insularità rientra a pieno titolo nella denominazione degli enti spaziali in genere, ma è da considerare che l’"insularità" è anche un concetto relativo, in quanto l'isola non è di per sé modello d'isolamento[5]. Sinteticamente si può assumere che l’'insularità non comporti automaticamente l'isolamento culturale come l'isolamento non derivi necessariamente dall'insularità[6], in quanto anche fattori ideologici, politici e culturali hanno portato e portano popolazioni ad un isolamento molto più forte di quello propriamente geografico.
Per quanto ci riguarda, comunque, è importante notare come lo status di “insularità geografica” sia una condizione spaziale praticamente aprioristica che condiziona in maniera inequivocabile le dinamiche culturali nonché psicologiche, sociali e mediatiche delle persone che in tale contesto si trovano ad abitare.
L’isola potenzia e influenza le specificità culturali, il sentimento d’appartenenza, le dinamiche identitarie. L’insularità geografica è una condizione che può essere associata a visioni spaziali più ampie o più specifiche, ma che difficilmente può essere sostituita o rimossa.
La specificità dei contesti isolani è stata recentemente riconosciuta anche dalle normative europee. Come si legge nella “Risoluzione su una politica integrata adeguata alla specificità delle regioni insulari dell'Unione europea”[7], risalente al 1997, sono state pienamente dimostrate soprattutto le “caratteristiche e specificità comuni” che distinguono le isole “dalle regioni continentali”, e gli svantaggi economici che spesso queste peculiarità accompagnano, quali “la limitatezza delle risorse naturali e umane, la ristrettezza dei mercati […] o ancora la fragilità dell'equilibrio ecologico e spesso un'elevata disoccupazione e scarsi redditi strutturali e permanenti e la scarsezza di risorse naturali […] e di risorse umane (forza lavoro qualificata, rischio di emigrazione)” che “costituiscono uno svantaggio aggiuntivo per le regioni insulari”[8]. Il riconoscimento degli svantaggi dovrebbe consistere nell’applicazione di politiche mirate per la loro attenuazione, politiche che ovviamente vanno a interessare anche il campo della cultura e della comunicazione, aspetti cruciali per uno sviluppo sostenibile e democratico di un territorio.
Per quanto concerne questa trattazione dovrebbe essere ovvio che, in una situazione d’insularità nel contesto del mediterraneo occidentale, nella quale la penisola italica non rappresenta che una delle terre limitrofe e l’Europa solo uno dei continenti vicini, la Sardegna non possa permettersi di rompere l’isolamento comunicativo solo come regione dello stato Italiano o della Comunità Europea, poiché non solo la geografia, ma anche la storia, la psicologia e la cultura la legano indissolubilmente anche alle popolazioni delle altre sponde.
Oltre alle questioni di rappresentanza politica, che in questa sede non s’intende trattare, i problemi di rappresentazione della propria e altrui visione di se stessi e del mondo in Sardegna sono legati ad un isolamento linguistico e mediatico piuttosto che geografico.
Il monolinguismo Italiano in questo senso, rappresenta uno dei maggiori rischi per l’isolamento comunicativo della Sardegna al di fuori del contesto Statale.
In un territorio come quello sardo cui multiculturalità non è assolutamente recente né localizzata, ma rappresenta una delle caratteristiche più evidenti del suo bagaglio culturale sarebbe indispensabile per una convivenza dignitosa e responsabile sia la conoscenza della grande risorsa del sardo come lingua propria e“intermedia”, sia quella dello spagnolo, dell’arabo e del francese (ma anche del corso e del catalano),come lingue di comunicazione mediterranea oltre che ovviamente quella dell’inglese in quanto seconda lingua più parlata nel mondo.
Seguendo la stessa logica di internazionalità storica l’impostazione del flusso comunicativo della Sardegna con l’esterno non può reggere una netta predominanza del flusso comunicativo Italiano, poiché al di fuori dei caratteri Statali, tutte le dinamiche in Sardegna sono influenzate e condizionate in larga maniera anche dagli altri territori più o meno vicini, e con cui oggigiorno l’interazione risulta per lo meno insufficiente.

In sintesi, l’isolamento di carattere linguistico o di carattere mediatico possono essere considerati gli isolamenti culturali più evidenti e dannosi per uno sviluppo sostenibile della Sardegna nel suo contesto geografico tipicamente internazionale.


2.3.1.Regioni artificiali.

Per quanto sia scontata l’affermazione per cui qualsiasi regione istituzionale “non isolana” sia artificiale, spesso se ne dimentica l’indiscutibilità. Dal punto di vista culturale si tende a considerare le Regioni istituzionali aprioristicamente, quasi fossero tutte delle isole. È semplicemente evidente che ogni Regione istituzionale ha al suo interno regioni culturali, linguistiche, religiose, che solo a livelli molto astratti possono essere riunite percettibilmente in Regioni, Land, Länd, Comunidades, o anche Stati, Regni o Federazioni.
La creazione di confini regionali istituzionali non potrà mai perseguire l’obbiettivo di separare un dato territorio da quello confinante se non con esiti negativi per uno sviluppo aperto e democratico nel sempre più tangibile contesto glocale. La divisione istituzionale ha senso solo se fondata su percezioni dal basso e pensata per cogliere e organizzare le specificità di un dato territorio che necessitino particolari programmi governativi differenti da quelli dei territori vicini.
Nel contesto Italiano la suddivisione Regionale italiana è una questione alquanto controversa e non si dire né che essa abbia perseguito la valorizzazione delle differenze, né l’organizzazione di queste a scopo collaborativo.
Tralasciando le regioni storiche preunitarie (i vari Regni, Principati, Repubbliche e Giudicati) è utile ricordare che, seppure già la Costituzione Italiana del 1948 prevedeva diciannove regioni[9], è noto di come il costituente ebbe “una discussione rapida e non ben mediata sui confini territoriali” [10].
Inoltre l’attuazione di questa importante innovazione avvenne dopo oltre ventidue anni dall’entrata in vigore della Costituzione, con la creazione delle Regioni ordinarie nel 1970 che solo a partire dagli anni novanta (con la serie di innovazioni che hanno colpito l’intero sistema delle autonomie regionali e locali), ha cominciato a rappresentare per i cittadini un fattore identitario che prima si rispecchiava su altri fattori micro- e macro-sociali.
In sintesi, la mancanza di confini storici affermati del territorio italiano e la sua comunque forte caratterizzazione e stratificazione dal punto di vista culturale e linguistico, ha reso necessaria la creazione astratta[11] di tali confini in molte regioni, cui affermazione in senso troppo rigido rischia di essere più dannoso che utile per la cultura e lo sviluppo locale. Uno sviluppo locale che deve sì tener conto dei confini istituzionali, ma che deve poterli e saperli oltrepassare sia per allargare il suo punto di vista confrontandolo, sia coi vicini territoriali e culturali, storici o commerciali, sia per qualificarsi nei suoi micro-contesti per la tutela, la coesione e l’integrazione delle specificità multiculturali (dovute sia agli stratificati scambi storici che alle recenti migrazioni e rapporti commerciali).
Nel caso della Regione Automa della Sardegna, questo discorso risulta sottilmente differenziato dal fatto che i confini istituzionali trascendono le recenti deliberazioni politiche e per questo risultano percepite dagli abitanti al di fuori delle pratiche amministrative e al di sopra delle componenti multiculturali. I confini fisici sono in questo senso un fattore aggregante naturale che necessita però spinte più forti per l’interazione con e verso l’esterno.
Considerando che quasi tutto il territorio Italiano è costellato di stratificazioni culturali più o meno intrecciate, si può dire che, nonostante i vari svantaggi che l’insularità comporta, il suo carattere di determinismo ha sicuramente la convenienza di rendere superfluo ogni discorso di idoneità sui confini della Sardegna, che di fatto sono imposti geograficamente o più ottimisticamente “non ci sono”;"non ci sono" nel senso che la sua centralità ne ha fatto per secoli zona di passaggio, meta di commercio e punto strategico per vari popoli e culture che in essa hanno sicuramente lasciato la propria traccia, anche se è evidente che la sua inequivocabile perifericità da tutti i continenti e la sua non piccola dimensione ne abbiano invece nutrito la specificità stratificata e l’originalità endemica.

2.3.2. Spazio di partenza per la cultura della differenza.

Per quanto le istituzioni Regionali in Italia siano di recente formazione e i loro confini politici attuali risalgano a meno di quarant’anni fa, è pur vero che in tutte le Regioni siano rintracciabili delle caratteristiche culturali e storiche radicate nel territorio che ne costituiscono un imprescindibile e non ignorabile punto di partenza per uno sviluppo sostenibile e di interdipendenza nel contesto planetario.
Non di rado e in molte discipline, si parla della difficoltà, propria della nostra epoca, di affrontare la vita quotidiana in assenza di un modello di riferimento stabile o almeno più vicino allo spazio e al tempo che rimangono imprescindibili dalla vita di una persona al di fuori dei sentimenti di appartenenza.
Per le culture minoritarie[12], i cui depositari sono legati da un comune patrimonio culturale ma in un contesto politico costituito e orientato su una cultura differente cui membri sono -spesso- in maggioranza numerica, questo discorso risulta ancora più rilevante.
La mancanza di autorappresentazione del proprio “punto di vista” creato sulle basi di una autocritica e autostima sulla propria realtà quotidiana e su una conoscenza allargata del contesto di appartenenza, risulta non solo limitante ma veramente svantaggioso.
In sintesi si può concludere che per quanto in Italia la valorizzazione culturale e l’autorappresentazione mediatica delle microculture presenti nel territorio statale (sopratutto quelle non legate a culture presenti in Stati confinanti) stenti ad affermarsi, è plausibile affermare che ogni regione possa e debba orientare le proprie differenze non come fonte di competizione e giudizio ma di comprensione, crescita, scambio culturale e non secondariamente sviluppo socioeconomico.
Nelle regioni, nella quale le lingue e i dialetti[13] sono fortemente differenziati dalla lingua Statale, anche la cultura ha altrettante peculiarità che non eccedono in numero rispetto alle altre regioni, ma semplicemente in differenziazione rispetto la cultura Ufficiale. L’uso di queste differenze come ricchezza culturale e segno di dignità sociale, non potrebbe che avvantaggiare anche lo sviluppo economico sopratutto delle aree più povere e spesso più problematiche del Sud e delle Isole, nelle quali il bilinguismo e il multiculturalismo storico e contemporaneo rappresenta una realtà che non può essere più ignorata.
La cultura sarda ha in questo senso il dovere di proporsi ai residenti sardi come aiuto e spinta alla comprensione del mondo che ci circonda, e di aggiornarsi continuamente per continuare a rappresentare un punto di riferimento per i suoi depositari con un concetto di identità aperto ma non deradicato.





________________________________

[1] La difficoltà in questo sta nel colmare il Digital Divide, il differenziale sia di conoscenze e abilità informatiche che di possibilità di accesso ai nuovi media.

[2] Wittgenstein L., 1999, op.cit., cfr. paragrafi 66-67-71.

[3] Quella “complessa rete di affinità non transitive” per il quale se X è un concetto aperto e a, b, c, sono oggetti che cadono sotto tale concetto, allora questi oggetti sono tali che, se a e b sono simili, e pure b e c lo sono non è detto che lo siano a e c, in quanto “il parametro di somiglianza che sussiste tra a e b non è quello che sussiste tra b e c e così via” (Cfr. Voltolini A., Guida alle Ricerche Filosofiche di Wittgenstein, Laterza Ed.,Roma-Bari 2003, p.44/47)

[4] Continui e variegati studi su base scientifica, archeologica, glottologica, genetica, antropologica, giornalistica ed etnografica ma anche filosofica, agiografica e religiosa offrono un vasto campo di possibilità e non sono pochi i fondi ancora praticamente inesplorati. Uno dei più importanti esempi a proposito è il testo dell’archeologo Giovanni Lilliu, La civiltà dei Sardi dal Paleolitico alla fine dell’età nuragica, ERI,Torino 1988; uno dei più recenti è invece rappresentato da Le colonne d’Ercole, un’inchiesta, ( Nur Neon srl, Roma, 2002) di Sergio Frau, e dal successivo Atlantikà. Sardegna, Isola Mito.Le Colonne d'Ercole. Una mostra, le prove. (Catalogo della mostra patrocinata dall’Unesco e a cura di Frau S. e Manca G., Nur Neon srl, Roma, 2004).

[5] Cfr. Mallart, Lluis, 1997, Micro-Etats et localisme comme expression d'internationalité: la démythification de l'insularité comme modèle d'isolement, in Vivre...,( pp. 95 – 101) citato in Lőrinczi Mariella Per una definizione dell' «insularità »: Irlanda e Sardegna in periodo bassomedievale Apparso in Isole linguistiche? Per un'analisi dei sistemi in contatto, Atti del convegno internazionale, Sappada / Plodn (Belluno), 1 - 4 luglio 1999, a cura di Gianna Marcato, Padova, Unipress, 2000, (pp. 49 - 55.) Versione riveduta ed ampliata reperibile nel sito web http://people.unica.it/mlorinczi/files/2007/05/4-sappada1999-2000.pdf.

[6] Cirese, Alberto M., 1990, Isole, Isolanità, Isolamento, in Isole. Catalogo della V Rassegna Internazionale di Documenti Etnografici e Antropologici, Nuoro, Istituto Superiore Regionale Etnografico, citato in Ibidem.

[7]http://www.europarl.europa.eu/pv2/pv2?PRG=CALDOC&TPV=DEF&FILE=970516&SDOCTA=7&TXTLST=1&POS=1&LASTCHAP=2&Type_Doc=FIRST&LANGUE=IT

[8] Ibidem.

[9] Di cui quattro a statuto speciale (Sicilia, Trentino-Alto Adige Sardegna e Valle d’Aosta -solo successivamente quella del Friuli-Venezia Giulia-) e quindici regioni ordinarie.

[10] cfr. Barbera. A, Fusaro C., Corso di diritto pubblico, Bologna, Il Mulino, 2006, cap.XII.

[11] Astratta nel senso che gli odierni confini politici non corrispondono con quelli culturali o linguistci. Si pensi ad esempio alla Liguria e alla cultura ligure. Dal punto di vista linguistico il Ligure supera i confini della regione poiché esso è parlato anche in una zona meridionale del Piemonte e in una zona occidentale dell’Emilia, cosicché si può affermare che le aree culturali piemontesi ed emiliane sono più piccole delle corrispondenti aree regionali.

[12] Dal punto di vista legislativo si noti che spesso si parla più di minoranze “linguistiche” . Esse sono tutelate dalla Costituzione Italiana dall’art.6, il quale si limita però a sancire un principio generale, senza indicare nè le popolazioni garantite nè gli strumenti di tutela e rinviando alla legge la loro definizione. L’attuazione dell’art.6 si è avuta solo 51 anni più tardi con la legge 15 dicembre 1999, n.482, “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”. In essa vengono elencati come destinatari della normativa le popolazioni in lingua albanese, catalana, croata, francese, franco-provenzale, friulana, greca, ladina, occitana, sarda, slovena e tedesca, demandando alle province la delimitazione degli ambiti territoriale di applicazione della disciplina.

Nel testo vengono indicate come misure di tutela delle lingue di minoranza a) l’utilizzazione e insegnamento nelle scuole; b) la possibilità di un uso pubblico (nelle pubbliche amministrazioni, per atti pubblici, nei procedimenti davanti al giudice di pace e nel processo penale, come disciplinato dall’art.109 del Codice di Procedura Penale ).

Precedenti la sopracitata legge, e manifestanti l’espandersi della cultura della differenza e con essa la nuova sensibilità per le lingue locali e minoritarie sono state la Carta Europea per le lingue regionali e minoritarie del 1992 a livello Europeo e a livello regionale sardo la Legge n.26 del 15 Ottobre 1997 sulla “Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna”.

Sulle ultime novità in merito, sarà sufficiente dire in questa sede che dopo anni di trattative e studi la Regione Autonoma della Sardegna ha legiferato con la delibera del 18 aprile 2006, n. 16/14 decidendo di adottare la Limba Sarda Comuna (LSC) accanto all’italiano come lingua della propria Amministrazione e inaugurare una sperimentazione nelle scuole pubbliche e nei comuni.



[13] Si noti che la distinzione tra Lingua e dialetto non è che una convenzione che poco influenza la legittimazione di un determinato linguaggio. Nella classificazione più stretta vengono definite lingue neolatine al pari dell’italiano il sardo e il ladino. Pier Paolo Pasolini espande la concezione a qualsiasi dialetto “scritto ed adoperato per esprimere i sentimenti più alti del cuore... per esprimere le proprie idee, il proprio sentire, i propri desideri".

Ong W.J. ricorda nel suo Oralità e scrittura,(op.cit. p 25) come in realtà “ il linguaggio ha un carattere così profondamente orale che di tutte le migliaia di lingue –forse decine di migliaia- che sono state parlate nel corso della storia umana, solo circa 106 sono state affidate alla scrittura in modo adeguato a produrre letteratura, e la maggior parte di esse non sono mai state scritte.” In sintesi ogni linguaggio può essere propriamente definito Lingua.