1. Una questione di mezzi

1. Capitolo; Sardignità: Una questione di mezzi.

1.1. Epoche mediatiche tra rivoluzioni strutturali, tecniche e sociali.
1.1.1. Media fissi e collegati nello spazio e nel tempo.
1.1.2. Convergenza e integrazione.

1.1.3. Interattività coi media.

1.1.4. Il web: un’innovazione sociale più che tecnica.

1.2. Alfabetizzazioni mediatiche e multimediali.
1.2.1. Media e sistemi esperti.

1.2.2. Media e divari di rappresentazione.
1.2.3. Interiorizzazioni mediatiche in Sardegna.
1.2.4. Traduzioni mediatiche.
1.3. Autorappresentazione mediatica.

1.4. L’oralità ri-legittimata.



1.1. Epoche mediatiche tra rivoluzioni strutturali, tecniche e sociali.

La capacità che al giorno d’oggi si ha di trasmettere messaggi e contenuti oltrepassando i limiti spaziali e temporali emerge come uno dei progressi comunicativi cruciali delle comunità umane.[1]La capacità di comunicare si misura in base alle capacità di scambiare, tramandare, recuperare e diffondere informazione[2].
Se suddividiamo l’esistenza della specie umana in base alle capacità di comunicare, si possono individuare una serie di fasi in cui le varie comunità umane sovrapposero alle modalità comunicative conosciute, nuove soluzioni strutturali[3] e tecniche[4].
In questo senso i 50.000 anni di storia dell’homo sapiens possono essere spiegati da una teoria delle transizioni[5], vale a dire in termini di fasi distintive dello sviluppo della comunicazione umana[6].
I passaggi da una fase all’altra, portati attraverso la diffusione delle invenzioni di nuovi metodi e tecnologie, non presumevano l’abbandono delle tecniche precedentemente ideate, ma più che altro rendevano il loro uso più mirato o il loro ruolo più accessorio.
È evidente che questi passaggi non avvennero in modo continuo né graduale e tanto meno si produssero universalmente e sistematicamente in tutto il genere umano.Ogni comunità ha in questo senso le sue specificità e differenti contesti portarono a differenti soluzioni o campi di applicazione.
Come si può notare nella tabella che segue, è possibile una semplificazione delle principali fasi della comunicazione umana, che iniziano il loro periodo di transizione con le invenzioni tecniche e con l’introduzione dei nuovi metodi strutturali e che vedono la loro consolidazione nella successiva interiorizzazione collettiva e sociale.


Tabella 1:Principali epoche della comunicazione umana ed esempi di rivoluzioni strutturali e tecniche. (Tabella cura dell'autrice, alcuni diritti riservati (CC). Ciò significa che puoi citare o quotare gratuitamente questi contenuti a patto che non sia per scopi commerciali, che non vengano modificati senza previa autorizzazione e siano sempre citati l'autrice o gli autori e possibilmente la fonte.)

1.1.1.Media fissi e collegati nello spazio e nel tempo.

La caratteristica che in un certo senso ha contraddistinto i media per le prime quattro fasi della comunicazione umana è stata quella della distinzione tra media fissi e media collegati nello spazio e nel tempo.
Per quanto tutti i mezzi di comunicazione umani siano sempre stati sia fruibili in uno spazio e in un tempo fisso, sia usati per collegare spazi e tempi diversi, sono stati i così detti New media a sorpassare queste dimensioni in singoli strumenti.
L’associazione di periferiche separate (quali la radio con il mangiacassette e il televisione via cavo col videoregistratore) è stata la prima fase di questo cambiamento che, con la rivoluzione strutturale dei New Media ha poi permesso in un unico medium, sia di collegare luoghi e tempi diversi attraverso l’uso delle reti (Eternet, Internet, web, ecc.) sia rimanere in dimensioni temporali e spaziali fisse, attraverso la creazione e fruizione non in linea tramite la memorizzazione su supporti artificiali quali floppy disk,CD-ROM,DVD, cassette digitali, memorie esterne eccetera.
La combinazione delle applicazioni in linea e non in linea dei nuovi media, usati sia in contesti sociali e tradizionali, ancorati a un certo tempo e spazio, sia in contesti mediali in linea, che colleghino queste dimensioni, produce le loro caratteristiche strutturalmente nuove.[7]
Tecnicamente questo è stato permesso dalla Rivoluzione della microelettronica e da quella del Digitale, oltre che dall’invenzione della fibra ottica e della tecnologia laser e dallo sviluppo della programmazione software; innovazioni che hanno permesso la miniaturizzazione, l’introduzione delle memorie artificiali digitali, la trasmissione e riproduzione digitali, la maggiore qualità e quantità di segnali trasmissibili e la facilitazione d’uso.
Il vero cambiamento, dunque, non è stato quello di facilitare o velocizzare lo scambio di informazioni – che di per sé costituisce solo un’evoluzione della rivoluzione delle comunicazioni dell’Ottocento[8]- ma nel aver permesso la convergenza, l’interattività e una maggiore accessibilità.

1.1.2. Convergenza e integrazione.

L’integrazione delle telecomunicazioni, delle comunicazioni di dati e delle comunicazioni di massa in un unico medium è quello che si definisce processo di convergenza[9].

Con il termine convergenza s’intende non solo il cambiamento tecnologico per cui molteplici strumenti sono confluiti in un unico medium, ma anche il cambiamento sociale e culturale che ad essa si sono accompagnati[10]. Secondo quanto notato da Henry Jenkins (2007) la cultura della convergenza “rappresenta un cambiamento nei modi in cui pensiamo i nostri rapporti con i media”, cambiamento che interessa primariamente il nostro rapporto con la cultura popolare (dalle produzioni artistiche a quelle commerciali ) e che secondariamente ha delle conseguenze “su come impariamo, lavoriamo, partecipiamo al processo politico e ci connettiamo con gli altri in una parte o nell’altra nel mondo”.
Il processo d’integrazione, infatti, non ha interessato solo le tecnologie delle comunicazioni ma anche la creazione di contenuti e dei punti di vista, che per quanto ancora influenzati dalle tradizioni locali o dai poteri politici, economici e religiosi di un determinato contesto, non possono fare a meno di essere almeno intrecciati o influenzati più di ieri da quelli degli altri.

1.1.3. Interattività coi media.

La possibilità di stabilire comunicazioni dialogiche o multidirezionali (sia diacroniche che sincroniche) viene definita interattività[11].
Essa può essere scissa in quattro tipologie di traffico dell’informazione: allocuzione, consultazione, registrazione e conversazione[12].
Brevemente, è utile ricordare che:
L’allocuzione fu il modello della radio, della televisione e di altri spettacoli mediali venuti alla ribalta durante il Novecento; essa si basa sulla distribuzione simultanea a un pubblico di unità locali da parte di un centro che funge da sorgente dell’informazione e da centrale abilitata a decidere sugli argomenti da trattare, sul tempo e la velocità[13].
Per consultazione s’intende la selezione di informazione da parte di unità - sostanzialmente – locali, che decidono in materia d’argomento, tempo e velocità dell’informazione , rispetto a un centro che ne rimane la sorgente[14]. I vecchi media di consultazione sono i libri, giornali, riviste, audio e video; i nuovi media di consultazione sono il televideo, le banche dati, i siti internet, ecc.)
La registrazione è la raccolta d’informazione da parte di un centro che determina il soggetto, il tempo e la velocità di informazione inviata da un certo numero di unità locali che rappresentano le fonti dell’informazione e talvolta prendono esse stesse l’iniziativa di questa raccolta. Esempi di questi media e strumenti di registrazione sono la scrittura e la stampa di dettati, poesie e memorie tramandate oralmente, le inchieste, le elezioni, gli esami, gli archivi, le interviste, la fotografia, la registrazione di audio e video ecc.
La conversazione è uno scambio d’informazione, da parte di due o più realtà locali che si rivolgono a un medium condiviso invece che a un centro, e determinano esse stesse un soggetto, il tempo e la velocità dell’informazione e della comunicazione. Nei contesti orali la conversazione è portata avanti dal dialogo, in quelli chirografici e tipografici[15] dalla corrispondenza scritta e stampata; successivamente si aggiunsero il telegrafo e il telefono che permettevano uno scambio di una modesta quantità di dati o di informazioni orali. Le reti locali di computer e comunicazione di dati su linee telefoniche hanno poi incrementato la capacità di trasportare dati e testo e i Nuovi Media digitali hanno aggiunto la possibilità di combinare voce, immagini, video e testo in un unico messaggio.
La nascita delle reti integrate ha implicato una nuova interattività data dalla combinazione di allocuzione, consultazione, registrazione e conversazione in un unico medium che supporta sia le comunicazioni private (personali) che pubbliche (interpersonali). Questo comporta uno slittamento dal centro verso le unità locali e una sempre maggiore interattività dal basso, incoraggiando, tra le altre cose, quella nuova oralità la cui legittimazione è uguale a quella della scrittura e la cui accessibilità dipende da sempre minori – ma necessarie - competenze tecniche.

1.1.4. Il web: un’innovazione sociale più che tecnica.

 
Non è nostro specifico interesse enumerare tutte le invenzioni che hanno reso la rete e i computer accessibili a sempre più persone. Una delle ultime personalità che sicuramente vale la pena citare per le sue proposte miranti l’accessibilità dei nuovi media soprattutto ai più indigenti è Nicholas Negroponte che ha recentemente ideato un PC da cento dollari, infrangibile, impermeabile e addirittura ricaricabile anche tramite manovella.
Ma questo non rappresenta che un ultimo passo di un grande sforzo collettivo di tante persone che con passione, pazienza, studio e lavoro hanno permesso che questo ennesimo nuovo media non dovesse aspettare millenni o secoli prima di divenire accessibile ad una vasta utenza ed emittenza e affinché molti suoi servizi rimanessero gratuiti e democratici[16].
In questa sede è sufficiente notare che l’ipertesto e l’html, il mouse e i collegamenti -link-, le interfacce e i navigatori, e soprattutto il World Wide Web, sembrano cose scontate al giorno d’oggi per il lavoro di tante persone che, organizzandosi dal basso e puntando molto in alto, hanno permesso e permettono un’allocuzione, una consultazione, una registrazione e una conversazione digitale facile, intuitiva e spesso gratuita.
Il Web in particolare è stato il sogno di un ragazzo che l’ha progettato “perché avesse una ricaduta sociale, perché aiutasse la gente a collaborare”; secondo le sue stesse parole, il suo fine ultimo “è migliorare la nostra esistenza reticolare nel mondo” [17].
Ma visti i tempi che corrono, non è inutile notare che, affinché questo avvenga (e si rifletta a livello globale), l’uso di questo media deve essere interiorizzato dalle popolazioni umane primariamente nel loro contesto locale.

1.2. Alfabetizzazioni mediatiche e multimediali.

Quello che risulta palese al giorno d’oggi è che qualsiasi tecnica e struttura comunicativa si rivela fondamentale fonte di trasformazione culturale, sociale e politica. È importante considerare come la natura dei sistemi di comunicazione in una data società sia in stretta relazione con quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana degli individui che ne fanno parte.
Le alfabetizzazioni a tutti i media usati in una determinata società sono, dunque, indispensabili per una persona che viva nella stessa.
In sintesi, se per ogni tipo di comunicazione sono necessarie delle competenze (che permettano di usare e non ignorare o subire le risorse comunicative), il fatto che un’alfabetizzazione ai media di comunicazione di massa e un’alfabetizzazione informatica alla popolazione italiana non sia ancora avvenuta in maniera estensiva, rappresenta uno dei maggiori paradossi del contesto da noi preso in esame, che, come accennato, si tratta di quello della Sardegna, attualmente una regione Italiana.
Un paradosso che però è possibile ritrovare esaminando l’epoca in cui la scrittura per mezzo della stampa, rappresentava il media moderno, sempre più alla portata dei meno abbienti in tutta Europa, ma ancora scarsamente accessibile dai sardi a causa della mancata alfabetizzazione e delle censure sotto l’Inquisizione Spagnola.


1.2.1. Media e sistemi esperti.

La scrittura, in quei tempi così come ai tempi dei babilonesi, degli egizi, dei fenici o dei romani, era pratica esclusiva di pochi specialisti, a cui i più si rivolgevano per la trascrizione di determinati dati e comunicazioni.
È noto che, a differenza di altre specializzazioni umane, la relegazione di una pratica comunicativa ai sistemi esperti rappresenta solo il primo passo verso l’interiorizzazione di un media: un’adeguata educazione ai mezzi di comunicazione umani è e fu necessaria per una vita responsabile all’interno di una società in tutti i tempi umani. Chi resta fuori dalle pratiche comunicative resta spesso fuori anche dai sistemi decisionali, politici e legislativi, oggi come ieri.
Non è un caso che in Sardegna il codice di leggi non scritte relativo alla cultura Barbaricina sia rimasto in vigore, quasi invariato e molto più forte dei vari codici legislativi scritti, fino a pochi decenni or sono: semplicemente, le norme tramandate oralmente hanno continuato ad essere applicate fino a che l’oralità ha rappresentato l’unico mezzo di comunicazione interiorizzato in Sardegna. L’interiorizzazione della scrittura ha giocato un ruolo essenziale nella comprensione (nella critica, nell’accettazione e nell’uso) dei nuovi codici normativi, cambiando anche il rapporto tra Stato e cittadini. 

Ma quasi contemporaneamente i sistemi dominanti hanno cominciato l’uso intensivo dei mezzi di comunicazione di massa, al quale non ha corrisposto un’altrettanta accessibilità alle popolazioni, circostanza che ha riportato di fatto ad un divario tra emittenti e riceventi e a una nuova esclusione comunicativa con ampie ricadute sociali, spesso negative.
Una innovazione tecnologica riesce a dispiegare il suo potenziale di trasformazione solo nei contesti socio-culturali che l’accolgono e la utilizzano.
Purtroppo in tutto il mondo è ancora osservabile una diffusa incompetenza mediatica che mette in gioco l’equità sociale, in quanto certe categorie di persone partecipano più di altre alla società dell’informazione, alcuni ne sfruttano i vantaggi, mentre altri non ne usufruiscono[18].

1.2.2. Media e divari di rappresentazione.

Nel mondo l’incompetenza mediatica e il divario tra i ruoli d’emittenza e consumo all’interno dei sistemi di comunicazione di massa è ai nostri giorni un problema per l’autorappresentazione e la democrazia partecipativa quanto l’analfabetismo lo era nei secoli scorsi.
Un costante aggiornamento in campo informatico è necessario ad una persona odierna che voglia sfruttare almeno in parte le possibilità comunicative offerte dai nuovi media.
Il rischio è che oltre al digital divide (divario riferito alla disparità di mezzi tecnologici esistente tra diverse parti del mondo o differenti fasce di popolazione), si ampli anche quello che si può chiamare divario di rappresentazione, ossia la sovrarappresentazione di alcune “voci” più forti a discapito di altre, non solo economicamente o numericamente più deboli, ma anche semplicemente meno mediaticamente alfabetizzate.

1.2.3.Interiorizzazioni mediatiche in Sardegna.

Il fatto che la scrittura possa definirsi interiorizzata dai depositari della cultura sarda solo recentemente, ha fatto sì che, rispetto ad altre culture, le capacità dei sardi di scambiare, tramandare, recuperare e diffondere informazione[19] abbiano goduto poco delle facilitazioni portate dalla scrittura e dalla stampa.
Nonostante le testimonianze scritte non siano poche, soprattutto in raffronto dell’esiguità di popolazione che ha da secoli caratterizzato la Sardegna[20], è noto che la maggior parte delle dinamiche culturali sarde si siano sviluppate al di fuori della scrittura.
In compenso, la ritardata acquisizione di tale media ha portato all’elaborazione di un sofisticato insieme di tecnologie della parola, di tecnologie rituali[21], artigianali e artistiche[22]: l’uso dell’improvvisazione in rima, della poesia, delle canzoni di cronaca[23] e narrative, le rappresentazioni mimiche, simboliche e mitologiche.
Tecnologie cui meccanismi rischiano di perdersi se non si continua una costante alfabetizzazione dei giovani con questi antichi ma sempre contemporanei ed efficaci media di comunicazione che valutare superati risulta quanto meno paradossale considerando il valore che l’oralità ha recentemente riacquisito grazie alle possibilità di registrazione e trasmissione dei nuovi media.
Quando si parla d’alfabetizzazione informatica non si fa solo riferimento all’esigenza individuale di una maggior competenza nell’uso pratico di strumenti ormai indispensabili (per il lavoro, lo studio, le relazioni), ma soprattutto “a quella che è una vera e propria priorità per il corpo sociale nel suo insieme[24]”.
Questo presupposto è importante quanto ricordare che acquisire un nuovo media non deve e non può significare perderne uno vecchio, soprattutto se di provata efficacia in determinati contesti culturali.
Seppure l’utilizzo delle tecniche oratorie sia proseguito in vari contesti ufficiali o artistici e sia tornato in maniera invadente attraverso le radio e le televisioni, le peculiarità del patrimonio orale sardo sono, per così dire, rimaste fuori dall’oralità accreditata e dalla così detta “oralità di ritorno”, subendone più che sfruttandone il potere di comunicazione.
Ma adeguate alfabetizzazioni, supportate da non limitanti norme giuridiche, possono ancora permettere l’uso collettivo dei vecchi e nuovi media per la trasmissione di una conoscenza più specifica e allo stesso tempo più allargata.


1.2.4.Traduzioni mediatiche.

In molte aree del mondo il valore dei media “effimeri” (la poesia e il canto come informazione e denuncia, le rappresentazioni mimiche e teatrali come strumento di memoria e viaggio, l’artigianato come patrimonio culturale) è passato in secondo piano sia per la datata interiorizzazione delle memorie artificiali, sia per il monopolio della cultura detenuto per secoli dalla scrittura e soprattutto per la relegazione delle fonti orali presenti in qualsiasi contesto umano ad un ruolo per lo meno “secondario”.
Ma nonostante questo e per ragioni diverse, alcune culture (tra cui si può giustamente enumerare quella sarda) hanno continuato a tramandare la loro conoscenza enciclopedicamente, o per così dire 

“intrecciatamente” ossia usando sia i nuovi media che quelli del passato.
Anche se effettivamente alcune pratiche comunicative risultano “di nicchia” esse continuano a coesistere in virtù del loro potere specifico, spesso legato ad un tipo di interazione difficilmente sostituibile.
L’intero evolversi del patrimonio culturale umano dimostra come nessun nuovo mezzo abbia mai completamente sostituito quelli che lo precedevano. La stampa non ha sostituito la scrittura, anche se l’ha trasformata; la scrittura non ha sostituito il disegno, la raffigurazione e la rappresentazione, la poesia, il dialogo e la memoria, anche se li ha relegati a ruoli “secondari” o “di nicchia”.
Così lo schermo, gli amplificatori e le reti non sostituiranno niente, ma stanno impugnando i contenuti e i messaggi dei vecchi media, offrendo loro spazio e tempo ma solo a patto di una traduzione, anche e soprattutto dal basso.
Se i vecchi media saranno abbandonati o i contenuti pensati per essere comunicati con essi non sapranno integrarsi e convergere nei nuovi, probabilmente non spariranno, ma verosimilmente viaggeranno su linee sempre più sotterranee che solo in pochi avranno fortuna di conoscere.

1.3. Autorappresentazione mediatica.

Come è stato spiegato nell’introduzione, e secondo quanto fa notare Balma Tivola[25], il termine rappresentazione ha una doppia valenza: a) quello di “processo mediante il quale percezioni e idee vengono organizzate nella conoscenza”; b) quello di “contenuto del processo rappresentativo”, e come è già stato accennato, con l’aggiunta del prefisso auto- esso si rivolge a quelle pratiche e quei contenuti per cui e con cui i soggetti costruiscono la propria rappresentazione.
L’autorappresentazione, per quanto esistente anche in ambiti strettamente soggettivi, può definirsi culturale quando concernente contenuti riguardanti l’interattività tra gli individui e la costruzione di visioni condivise interpersonali. All’interno delle pratiche autorappresentative possono essere considerate le attività d’autodocumentazione.
Anche questo termine risulta avere una doppia valenza, ma in questo caso le sue due accezioni si riferiscono al cambiamento di direzione del significato.
Esso infatti può essere rivolto sia alle pratiche di scelta che a quelle di produzione delle informazioni e dei contenuti documentativi.
Per quanto riguarda la scelta delle informazioni, parleremo in questa sede di autodocumentazione passiva, intendendo il ruolo interpretato da colui che, in base a un’ampia mole di contenuti, seleziona autonomamente quelli che trova utili e considera validi ai suoi scopi. In questo senso si differenzia dagli atti documentativi nel quale la selezione delle nozioni e delle notizie avviene da un soggetto esterno - l’emittente - e la ricezione - da parte del destinatario nel suo contesto-, per quanto dinamica (e con possibili risvolti partecipativi e interattivi), risulta vincolata alle scelte effettuate dall’Alto[26] .
Per quanto riguarda quella che possiamo denominare autodocumentazione attiva, s’intenderà invece la produzione e la diffusione di contenuti da parte degli stessi soggetti interessati.


1.4. L’oralità ri-legittimata.

Rispetto al passato, i nuovi media e la convergenza tecnologica hanno reso possibile l”integrazione di suoni, testo, dati e immagini in un singolo medium, e la sempre maggiore interattività delle connessioni on-line”[27].
Questo ha portato ad una rivalutazione di tutti quei media “effimeri” nella produzione e trasmissione culturale, che, seppure mai esclusi nella storia delle comunicazioni umane (e comunque riconosciuti soprattutto a livello artistico), erano stati in qualche modo delegittimati come mezzi di comunicazione dall’uso che i sistemi dominanti facevano della scrittura.
In realtà la rivalutazione delle potenzialità dei mezzi orali era già avvenuto con la televisione e la radio, con l’etnografia audio-visiva e i documentari scientifici, antropologici e culturali.
Grazie agli sviluppi della registrazione della voce, o del più generale fissaggio in un supporto delle entità sonore[28] e poi addirittura filmiche sonore, l’oralità così come la mimica (e tutte le rappresentazioni che coinvolgono vista e udito) hanno perso il carattere volubile che le avevano contraddistinte per millenni, diventando a tutti gli effetti dei “testi”[29] da leggere e riprodurre.
Ne deriva che quella che Ong[30] chiama oralità secondaria o di ritorno (quella “dell’attuale cultura tecnologica avanzata”), è una nuova oralità che acquisisce le potenzialità di registrazione, consultazione e trasmissione della scrittura e della lettura, ma conserva la risonanza, l’impatto e la comprensibilità di mezzi più intrinsecamente umani legati all’oralità primaria[31].
Ma l’oralità di ritorno può conservare la forza di quella primaria ad una condizione: che l’acquisita apparenza di eternità (data alla registrazione su supporti materiali -e virtuali-) e la facilità di assimilazione non si scontri con la difficoltà alla consultazione e con quella velocizzazione[32] frutto dell’enorme crescita spaziale dei flussi informativi che va a scapito della biografia della notizia[33] (cioè della contestualizzazione e della verifica dei contenuti), creando di fatto una difficile comprensione e veloce deperibilità degli eventi.
Senza questa condizione, l’oralità di ritorno risulta ancora più effimera e ristretta dell’oralità stessa, cui contestualizzazione era immediata, verifica possibile nei limiti di spazio e consultazione concreta anche se a condizione di memoria.
Con i mezzi di comunicazione di massa, principalmente la televisione e la radio, l’oralità ha sì ri-acquisito valore legittimo e raggiunto uditori (audience) allargati, ma la consultazione, la verifica e le eventuali smentite sono state non di rado impraticabili dalla “massa”, la così detta “gente comune”, ma sopratutto le fasce popolari minoritarie o scarsamente alfabetizzate mediaticamente.
La carenza di videoteche e audioteche, le barriere gettate dal diritto d’autore e dalle leggi di trasmissione, spesso smodatamente interessate, hanno incrementato la parzialità e le limitazioni dell’oralità di ritorno per decenni.
In sintesi si può affermare che l’autodocumentazione e l’autorappresentazione non hanno tratto veri vantaggi dal primo ritorno dell’oralità, poiché il suo livello d’uso ha seguito per decenni modelli gerarchici di comunicazione, ed in essa si è sempre tenuta una grande distanza tra emittenti e destinatari, tra i contenuti e i fruitori, gli autori e il pubblico.
Distanza che non è presente nell’oralità primaria, nella quale, seppure gli anziani e gli artisti del verbo hanno un posto di rilievo nella trasmissione e i giovani tempi più prolungati di ricezione, l’interscambio di ruoli è possibile e l’interattività è imprescindibile.
Con i nuovi media di comunicazione convergenti on-line, l’oralità e con essa ogni tipo di divulgazione visuale e scritta, assumono nuovamente i caratteri dialogici, interattivi e polifonici della comunicazione interpersonale con in più i vantaggi dati dalla registrazione su memorie artificiali, per secoli esclusivo della scrittura e delle rappresentazioni grafiche in generale.
Ma seppure con i nuovi media convergenti (fissi e on-line) si possa affermare che il numero di fonti è notevolmente cresciuto e potenzialmente ognuno di noi può rappresentare il proprio punto di vista, il giornalismo radiotelevisivo è rimasto ancorato al “punto di vista ufficiale” e “istituzionale” ossia al resoconto dei fatti più convenienti a livello politico ed economico.
Ne deriva che, soprattutto a livello televisivo, si è assistito ad un ampliamento dei temi trattati, ma ad una non altrettanto ampia partecipazione collettiva.
Gli intellettuali, gli studiosi, i protagonisti dei fatti continuano ad essere troppo spesso tagliati fuori dal dialogo, che invece interessa sempre più personalità legate alla politica, all’economia e alla religione continuando ad essere una sorta di monologo alternato tra i diversi vertici di potere.
Invece che la tendenza alla creazione di una sintesi dei diversi punti di vista interessati in un evento, la corsa contro il tempo, la ricerca di sinteticità e sensazionalismo, e i limiti imposti dal mercato pubblicitario nelle redazioni ha spesso portato alla mera amplificazione di una visione, spesso quella ufficiale.
Ma non tutto ciò che è stato lasciato è perso. Forse quando si raggiungerà l’informazione con l’uso dell’insieme di tutti i media di comunicazione in maniera per così dire intrecciata , l’oralità potrà dimostrare pienamente di essere tornata, e di riacquisire le sue componenti dialogica e polifonica fondamentali.


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[1] Cfr.M. De Fleur, S. Ball-Rokeach, 1995,(op.cit. ) Cap.1, Gli stadi dello sviluppo della comunicazione umana.

[2] Ibidem (p.18.)

[3] Nelle rivoluzioni strutturali hanno luogo dei cambiamenti fondamentali nelle coordinate di spazio e tempo: i media possono infatti essere una forma di comunicazione fissa nello spazio (in un luogo) o possono permettere comunicazioni tra posti diversi, così come possono fissare il tempo della comunicazione a un tempo determinato o permetterci collegamenti a tempi diversi. Van Dijk J., 2002, op.cit., p.22.

[4] In una rivoluzione tecnica delle comunicazioni si realizza un cambiamento fondamentale nella struttura delle connessioni, delle memorie artificiali e/o della riproduzione dei loro contenuti (ibidem) .

[5] Cfr.M. De Fleur, S. Ball-Rokeach, 1995, op.cit, (p19).

[6] Ibidem.

[7] Van Dijk J., 2002 (op.cit.) p.22.

[8] Cfr. Van Dijk J., 2002 op.cit.

[9] Per approfondire si veda ancora J.V. Dijk 2002, Ciotti-Roncaglia 2003, AA.VV, Toschi L.(a cura di), Il linguaggio dei nuovi media, Apogeo,Milano, 2001

[10] Cfr, Jenkins H., Cultura convergente, Apogeo, Milano, 2007.

[11] Essa può essere di differenti livelli: tra esseri umani, tra esseri umani e media, tra esseri umani tramite media e persino tra media -o tra macchine- (interattività tecnica). Cfr. J.V. Dijk 2002, op.cit.

[12] Bordewijk J., Van Kaam B., 1982, (op.cit), citato in J.V. Dijk 2002, op.cit., p.27.

[13] Ibidem.

[14] Ibidem.

[15] Una comunicazione chirografica è quella basata sulla scrittura, quella tipografica sulla stampa. Cfr. Ong W.J., op.cit., 2006, p.72.

[16] Per farsi un’idea del grande lavoro reso all’umanità da chi ha lottato per questo si veda almeno il testo autobiografico di Tim Berners-Lee, L’architettura del nuovo web, Feltrinelli, Interzone, Milano 2001.

[17] Ibidem p.113.

[18] Per approfondire possibilità e minacce legate ai nuovi media cfr. J.V. Dijk 2002, op.cit.

[19] J.Van Dijk, 2002, op.cit., p.18.

[20] Come ha recentemente fatto notare Manlio Brigaglia “gli ultimi dati dicono che in Sardegna, dal Cinquecento sino a oggi, sono state scritte e stampate più di sessantamila opere”. (cfr. La Nuova Sardegna 10 ottobre 2007, “Tutta la Sardegna nelle 6000 pagine dell'«Enciclopedia»”).

[21] Le rappresentazioni mimiche più rappresentative in Sardegna sono quelle resistite nei carnevali e quelle assorbite dalle cerimonie religiose Cristiane. A proposito si rimanda ai testi :Turchi D., Maschere, miti e feste della Sardegna, Newton Compton, Roma, 2001, e Bandinu B., La maschera la donna, lo specchio, Spirali, Milano,2004; Turchi D., Lo sciamanesimo in Sardegna, Roma, Newton Compton, 2003.

[22] Cfr. I Maestri dell’Arte Sarda, periodico quindicinale, Nuoro, Ilisso, 2004.

[23] Cfr. A.A.V.V. , CANTONES DE SAMBENE, Amori, delitti e processi nella poesia popolare della Sardegna di fine Ottocento, Cecaro R. e Tola S, (a cura di), Della Torre Ed., Cagliari,1999.

[24] Cfr. Ciotti F., Roncaglia G., 2003, op.cit.

[25] A.A.V.V. a cura di Balma Tivola C., 2005, op.cit., p.10.

[26] Questa distinzione è una convenzione adottata in questa sede. Per approfondire i processi -di selezione dei contenuti, interpretazione degli eventi ,negoziazione tra i vari membri e conseguente ri-costruzione della realtà- attivati dall’insieme dei processi comunicativi si veda il primo capitolo di Sorrentino C., 2002, op.cit.

[27] Ibidem (pp.48/49)

[28] Cfr. Lelio Camilleri - Il suono, in AA.VV. Luca Toschi (a cura di) 2001 op.cit.

[29] O forse è il termine “testo” che “diventa ogni situazione comunicativa o espressiva in grado di “parlare” agli occhi e agli orecchi di un “lettore”. Non più dunque solo parole, ma qualsiasi forma di comunicazione espressa tramite segni (…)”, come fa notare Anichini A., cfr., Anichini A. Testo, scrittura, editoria multimediale, Apogeo, Milano 2003.

[30] Ong W.J., 2006, op. cit. (p.29).

[31] (Ibidem), “quella di una cultura del tutto ignara della scrittura e della stampa.”

[32] Sorrentino 2002, op.cit. p.150.

[33] Ibidem, p.151.